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SONORE

R. e il Cinema

Questa storia inizia alla fine degli anni sessanta del secolo scorso, con i suoi primi ricordi del cinema.

 

Con i suoi occhi di bambina R. guardava affascinata il grande schermo; all’inizio furono le salette parrocchiali o, al più, le seconde visioni, i grandi classici di quel geniaccio di Walt, quelli che perfino sua madre conosceva a memoria. Una volta l’anno, lo spettacolo pomeridiano nei cinema da sogno del centro, con i film “nuovi”, quelli con i personaggi che ancora oggi stenta a credere che non siano mai esistiti nella realtà: cuccioli che non crescono mai, bambini che saranno bambini in eterno, cattivi che ogni volta si redimono ma alla proiezione successiva sono di nuovo cattivi, principi e principesse bellissimi che vivranno felici e contenti.

 

Il cinema dei bambini finisce in una serata d’autunno. I suoi genitori andranno al cinema, finalmente soli, a vedere un film di guerra che oggi definiremmo “pluripremiato”, e R. starà dalla nonna.

 

Ma non andrà così. Non è  la prima volta che dorme da Nonna Nina, però stasera è diverso; R. si sente esclusa da qualcosa di bello, si precipita piangendo per le scale. “Mammaaaaa! Voglio venire anche io”. Breve consultazione, uno annuisce col capo, l’altra sorride. Si va.

 

Dopo più di quarantacinque anni  R. porta ancora con sé il ricordo del cinema con le grandi insegne luminose, la sala con le poltrone di velluto cremisi e i “grandi”  che hanno sui loro volti la stessa espressione dei bambini in attesa di animaletti del bosco o del bacio di un principe.

 

In quegli anni R. era ancora troppo affascinata dalle immagini sullo schermo per poter apprezzare tutto quello che fa del cinema un luogo magico: le consultazioni in famiglia della pagina degli spettacoli, magari litigando un po’, la scelta degli abiti, buoni ma non troppo perché lì dentro fumano tutti e poi bisogna portarli in lavanderia, la fila alla cassa, la mancia alla mascherina con la torcia, gli sguardi truci allo spilungone col cappello perché non venisse a sedersi proprio davanti a te, i bonbon di gelato, i tappeti di bucce di semi di zucca (sì, amici romani, i bruscolini), l’autobus per tornare a casa.

 

Cose d’altri tempi, direte. Eh già!  Cose dell’altro secolo, cose che coloro che hanno conosciuto solo multisala tecnologicamente perfette, posti numerati prenotabili on-line,  cinema in periferia con parcheggi multipiano e centro commerciale vicino non potranno capire. Di una cosa, però, R. è certa: se avessero vissuto il “suo” cinema, lo rimpiangerebbero anche loro.

Una sala ultramoderna con sedili avveniristici e spettacoli fino a notte fonda non  creano da soli la magia, non bastano gli effetti specialissimi, la terza dimensione, i milioni di pixel. In fondo, per una buona proiezione sono sufficienti un buon progetto e una buona attrezzatura.

 

Per R. lo spirito del cinema, il MIO spirito, è respirare quell’aria un po’ polverosa, passare la mano sullo strappo del velluto della poltrona, commentare la pellicola con uno sconosciuto alla fine dello spettacolo, inciampare sul gradino, lavarsi le mani col sapone alla lavanda dopo aver mangiato i pop-corn.

 

In fondo, però, R. non è solo una nostalgica ultracinquantenne, sa anche apprezzare la modernità, non è la pellicola rovinata che le manca né il suono gracchiante di un altoparlante di bassa qualità.  Quello che le manca è un posto che le appartenga, simile alle vecchie sale del suo quartiere.

 

Ecco… un luogo che permetta di sfruttare le infinite possibilità della tecnologia ma che possa di nuovo farmi sentire a “casa”.

 

Questa storia termina nel 2018 con una domanda: quanti di voi si sono riconosciuti in R. e nei suoi sogni?

 

                                                                                                                                                                                                                                                  Il Cinema

 

(Grazie a Roberta Baffioni per la trasposizione in parole di questa storia)

 

 

 

 

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